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Giornata mondiale del rifugiato

LA PASSIONE SECONDO LUCANO – VARESE  14 GIUGNO 2019 

di Ileana Zarone

Sentir parlare da uno schermo Mimmo Lucano come se lo facesse tra sé e sé, come se volesse lasciar fluire liberamente i pensieri che, sono convinta, gli affollano la testa, è emozionante. Non solo, è anche coinvolgente perché se chi lo ascolta, come è successo a noi ieri sera grazie al film LA PASSIONE SECONDOLUCANO proiettato a Varese alla Sala Montanari, ha minimamente consapevolezza che il mondo in cui viviamo è costruito giorno per giorno dalle scelte di ognuno, non si può fare a meno di provare a mettersi nei suoi panni. Lucano è un uomo profondamente legato al suo paese e alla sua gente, e la logica conseguenza per noi che lo abbiamo visto  è il desiderio di provare a condividere un po’ dell’entusiasmo con cui lui ed un suo amico si sono detti: “dobbiamo fare qualcosa” senza sapere bene cosa fare, con la voglia, così come lui ha detto più volte, “di dare l’assalto al cielo”.

Lo ha ripetuto più volte che l’esigenza principale è stata un bisogno dell’anima e che la scelta più ovvia è stata quella di “ripartire dalle amministrazioni locali”, perché questo fosse un mezzo per contribuire a formare un mondo più giusto, senza alcuna aspettativa di un tornaconto personale. Il suo desiderio principale ora è di tornare a Riace, per continuare a fare, da privato cittadino, quello che ha fatto fino a pochi mesi fa come sindaco. Cioè creare le condizioni perché tutti possano constatare come “la convivialità delle differenze”, così tante volte citata da don Tonino Bello,  possa avverarsi pur in questo terribile clima di paura e sospetto, alimentato da chi dovrebbe invece rassicurare che ogni cittadino è tutelato, pur nella attenzione a coloro che arrivano da altre parti del mondo nelle nostre comunità.

Non si tratta di pensare di capovolgere  in poco tempo le logiche che questo mondo si è dato: esisterà sempre chi è più forte, chi gestisce esclusivamente con logica di profitto e sfruttamento le attività con cui si mantiene. Ma lavorare perché a tutti gli uomini che si trovano a condividere la nostra esperienza di vita siano date  uguali opportunità è un imperativo a cui nessuno di noi può sfuggire. Nessuno può pensare di avere la priorità su altri uomini, che hanno come tutti l’aspirazione alla felicità. Che per chi ha fame vuol dire non dover lottare ogni giorno per soddisfare questo bisogno primario, per chi vive in zone di guerra la necessità di provare il gusto di dormire almeno una notte senza dover scappare dalle bombe, per chi vede i propri figli emigrare provare la gioia di saperli al sicuro e poterli vedere ogni tanto,  per chi ha la fortuna di vivere senza fame, senza bombe, senza figli emigrati, la possibilità di sentirsi parte di un mondo in cui anche l’essere più piccolo contribuisce al benessere della sua vita di tutti i giorni.

Questa impressione mi ha fatto Mimmo Lucano: non uno che vuol fare la rivoluzione ma un uomo che cerca di fare, nel suo ambiente, quanto è nelle sue possibilità perché si mantenga un equilibrio fra tutte le esigenze e le aspettative di coloro che nel suo mondo vivono. E il fatto di non poter più essere d’aiuto per questo lo fa sentire, e si vede, un uomo profondamente solo.

Ognuno di noi ha bisogno degli altri. Cerchiamo di evitare di rimanere soli per scelte che denotano solo egoismo e non necessità di cosiddetta sicurezza.

Viaggio a Riace

di Laura Bergomi

Scrivo oggi 11 giugno 2019, giorno di apertura del processo a Mimmo Lucano,  alcuni appunti di viaggio a Riace e Camini, con radiopopolare dal 30 maggio al 2 giugno. Finora non ce l’avevo fatta. Per tristezza e per rabbia.

Prendo in prestito una metafora proposta da Vauro, “Riace è un gommone  carico di migranti attaccato da una portaerei.”, come misura dell’accanimento istituzionale contro i progetti di accoglienza e la persona del sindaco Lucano.. 

Siamo stati il primo gruppo di “turismo responsabile”ospite in due delle case dell’ospitalità diffusa a  Riace Superiore, dopo l’affondamento da parte della “portaerei” suddetta.

Abbiamo fatto colazioni, pranzi e cene alla trattoria di Alessio, uno dei riacesi rientrati dall’ immigrazione nel paese che 20 anni fa rinasceva grazie ai progetti di recupero e rilancio, con le energie e le speranze portate da gruppi di profughi (all’inizio Kurdi). Alessio era emigrato giovanissimo  per fare l’operaio a Torino e Mimmo (anzi Mimì), il suo allenatore di calcio, gli aveva scritto “Torna che qui costruiamo lavoro”. Tornò, aprì un bar, vide rinascere il paese morente: botteghe che riaprono, paesani emigrati che tornano, giovani migranti che arrivano, case e piazze ripulite e restaurate, gente da tutto il mondo che viene per conoscere Riace “città dell’accoglienza”.

Il processo di accoglienza integrazione e rinascita è stato nei primi anni gestito dall’associazione Città Futura, poi dall’istituzione comunale con lo SPRAR. Da poco è stata costituita la Fondazione“E’ stato il vento” con l’obbiettivo di ripartire, nella misura possibile. E’ sostenuta, tra gli altri, da padre Alex Zanotelli.

Antonio, giovane geometra della Fondazione, ci ha accompagnato per il paese a vedere le botteghe ora chiuse: laboratori artigianali del vetro, carta, legno, ricamo, produzione di cioccolato modicano, dove lavoravano  insieme immigrati e riacesi. Quasi un corteo funebre, che ci ha comunicato tristezza e rabbia. I commercianti storici locali sono spauriti. E’ stata colpita un’economia locale circolare che reggeva la rinascita e il ringiovanimento  del paese. Chiuso l’asilo multietnico. Svuotate le scuole, riconquistate dopo l’arrivo delle giovani famiglie dal mare e dai barconi.

A Riace (che aveva 165 posti SPRAR) sono rimasti solo circa una cinquantina di immigrati ormai stabilizzati : abbiamo incontrato il primo kurdoapprodato qui  dal mare (“E’ stato il vento”), oggi cittadino italiano con l’accento calabrese; i suoi figli studiano all’Università di Cosenza.

Si calcola che la chiusura forzata dei progetti abbia causato la perdita di oltre un centinaio di posti di lavoro,tra operatori, indigeni e immigrati. In un paese di 2345 abitanti (ISTAT 2017) divisi tra Riace Marina e Riace Superiore. In entrambe le parti sono stati accolti migranti in base a progetti SPRAR e CAS, ma alla Fondazione ci hanno spiegato che solo a Riace Superiore si erano realizzati percorsi di integrazione lavorativa e sociale, mentre le cooperative operanti a Riace Marina (un agglomerato di case nuove) si erano limitate a vitto alloggio e poco più.

Alle recenti elezioni comunali, Lucano è stato il primo votato a Riace Superiore, nella lista con Maria Spanò candidata sindaca.  Nelle altre due liste c’erano persone che avevano collaborato con Mimmo nei progetti d’accoglienza, ma che ne avevano preso distanza dopo gli attacchi e i procedimenti degli ultimi 2 anni. Il nuovo sindaco –  che non vuole essere etichettato come leghista – aveva promesso in campagna elettorale che la Lega avrebbe portato soldi al Comune. Ha evidentemente raccolto preoccupazioni, invidie, stanchezze, paure… e chissà.  Il Ministero ha sospeso nel 2017 e 2018 i fondi SPRAR che avrebbero ripagato la moneta locale con cui si pagavano gli acquisti presso i negozianti e gli stipendi degli operatori. Una recente (folle) ingiunzione ministeriale  chiedeva addirittura al Comune la restituzione di fondi mai assegnati ! 

Davanti alla bottega di produzione del cioccolato modicano abbiamo incontrato una giovane rifugiataeritrea, che vi lavorava.  E’ arrivata a Riace circa 3 anni fa dalla Libia, con un bambino di allora 3 mesi e con il marito, unici superstiti di un naufragio in mare. Ora si sente di nuovo insicura e spaventata.

Nella piazza che accoglie chi arriva a Riace incontriamo il vecchio padre di Domenico Lucano, che passa qui le sue giornate; parla volentieri con noi e si dichiara uomo fortunato, soprattutto grazie al figlio ex sindaco: “Tutto quello che vedete qui è frutto del suo impegno: i giardini, la scuola riaperta, l’ambulatorio aperto a tutti con 4 medici specialisti che ruotano a turno, l’asilo, il paese risorto…”. E’ rimasto forte e sereno, gli spiace però che ora Mimmo, esiliato a Caulonia,  non abiti più nella casa riacese dove è unita tutta la famiglia. 

Il giorno prima eravamo andati in visita a Camini, paese limitrofo ancora più piccolo di Riace (800 abitanti circa, 200 nel  borgo alto, 118 profughi), di cui ha seguito il modello per accogliere e integrare. La parte alta del paese è stata  rivitalizzata dalle energie dei profughi. La cooperativa Jungi Mundu(Unisci il mondo) e il Comune con il progetto SPRAR hanno trasformato l’accoglienza di famiglie migranti in risorsa per non scomparire. Come a Riace, si è invertita la tendenza al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione, e vi sono state nel 2017/2018  18 nascite (calcolate la percentuale e paragonatela a quella nazionale!); è stata riaperta la scuola elementare, istituita la scuola materna, avviate botteghe e laboratori artigianali; sono in fase di recupero abitazioni abbandonate, per un progetto di ospitalità turistica diffusa. La cooperativa gestisce il bar, il centro di ristoro, il centro culturale, la scuola d’italiano per stranieri e coordina i progetti. Si partecipa a bandi europei e si progettano attività agricole e di trasformazione agro-alimentare, in collegamento con turismo responsabile e Gruppi di acquisto solidale,  per preparare l’alternativa alla chiusura dello SPRAR. Un quarto degli abitanti oggi lavora con la cooperativa.Proprio quel giorno sono arrivate a Camini attraverso i corridoi umanitari due famiglie sirianeprovenienti da campi profughi in Giordania, grazie alla precedenza loro accordata per membri con disabilità. Il Sindaco incontrato per le strade del paese dice con semplicità di sentirsi responsabile dei beni comuni del territorio e del paese e di aver ricevuto da chi scappa da guerre e povertà una grande lezione di vita, che fa maturare e restare umani.  

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