Contributi dai cittadini,  Cultura

Berlinguer tra questione morale e l’Europa.

“I partiti non fanno più politica”, sosteneva negli ultimi suoi anni Enrico Berlinguer, “Politica si faceva nel ’45, nel ’48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune”. 

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione su Berlinguer europeista inviataci da Roberto Caielli.

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Noi di una certa età abbiamo tutti un debito di gratitudine verso gli algoritmi dei social che propongono  anniversari e ricorrenze che la nostra incerta memoria a volte non ci propone. Altre volte non è l’algortimo, ma un amico che prima di noi ricorda una data, un evento, un personaggio che anche a noi sono cari. 

Berlinguer europeista

Così è capitato qualche giorno fa di leggere un bel ricordo di Enrico Berlinguer da un amico che certo non era e non è un seguace delle sue idee. Da lì ho provato a riflettere su quale fosse il mio ricordo oggi, a 36 anni dalla scomparsa del ‘compagno segretario’, a quasi mezzo secolo dalla sua nomina.

E la riflessione mi ha portato a pensare che cosa fece Berlinguer di realmente innovativo negli anni che lo hanno visto protagonista di primo piano della politica italiana pur essendo sempre escluso (per il noto fattore k) dalle stanze del potere.

Berlinguer fu l’uomo del dialogo tra comunisti e cattolici, il teorico del compromesso storico e il difensore della moralità nella politica, contestatore della ‘occupazione’ dello Stato da parte dei partiti. Alcune di queste cose sono ancora oggi attuali, altre meno. Ma c’é un altro merito di Berlinguer, che soprattutto trovo attuale, ed è il contributo che il segretario del PCI diede affinchè la sinistra italiana sposasse con convinzione e coerenza l’ideale europeo. Un cambiamento di visione del mondo che fa parte del mio percorso personale e del quale gli sono riconoscente.

Questo ruolo di Berlinguer lo riconobbe anche Altiero Spinelli: “E’ stato lui che ha portato a compimento, con rigorosa conseguenza, la saldatura tra democrazia e socialismo e una politica comunista tesa a conquistare un’Europa fatta dagli europei… In questi anni (dal ’79) al Parlamento europeo c’erano molti segretari di partito. Ma l’unico che ho visto impegnarsi, intervenire nei momenti decisivi— ed essere ascoltato con attenzione — è stato Berlinguer. Ha creduto davvero all’Europa e nella fatica che ha provocato il male si deve mettere nel conto anche questa battaglia.”

L’utopia europea non è un sogno perduto, ma è il nostro orizzonte presente e futuro. 

Cos’era il sogno Europeo nel 1979, quando per la prima volta il Parlamento Europeo veniva eletto dai cittadini europei, io me lo ricordo: una promessa di pace e di crescita sociale e civile. Una unione non solo economica, come era la CEE dei pur gloriosi trattati di Roma, ma una unione di popoli, di storie e di culture. Una promessa di pace non solo annunciata, se è vero che la mia generazione e quelle dei miei figli sono le prime dai tempi di Augusto che non conoscono una guerra combattuta tra le grandi nazioni europee. Per questo dico ai miei figli: facciamoci caso.  

E cos’e oggi per noi l’Europa? Cosa resta del sogno Europea in questi anni difficili? 

In una bellissima conferenza sul tema, alla Fiera del Libro di Torino, lo scrittore spagnolo Javier Carcas risponde alla domanda parafrasando la famosa frase di Sant’Agostino sul tempo. “Se nessuno me lo chiede so cosa è l’Europa, se devo rispondere con una semplice frase non ci riesco”. Così cita a sua volta un altro grande europeo, George Steiner secondo il quale il nostro continente può essere ricondotto a cinque assiomi. 

Il primo è che l’Europa è i suoi caffè, quei luoghi d’incontro in cui la gente cospira e scrive e dibatte, e in cui sono nate le grandi filosofie, i grandi movimenti artistici, le grandi rivoluzioni ideologiche. Il secondo assioma è che l’Europa è una natura addomesticata e percorribile, un paesaggio a scala umana che contrasta con i paesaggi selvaggi e smisurati dell’Asia, dell’America, dell’Africa. Il terzo è che l’Europa è un luogo impregnato di storia, un vasto lieu de la mémoire le cui strade e le piazze sono piene di nomi che ricordano un passato sempre presente.  Il quarto è che l’Europa è il deposito di un’eredità doppia, contraddittoria e inseparabile: l’eredità di Atene e Gerusalemme, di Socrate e Gesù Cristo, della ragione e della rivelazione.  E il quinto è che l’Europa è la sua stessa coscienza escatologica, la coscienza della propria caducità, della cupa certezza che ha avuto un inizio e avrà inevitabilmente una fine, più o meno tragica.” (1)

Ma infine la questione dell’Europa è ancora, oggi come 40 anni fa, una questione politica, o forse utopica. Un sogno sempre irrealizzato, ma non perciò vano né inutile. Come tutti i sogni contiene ciò che di meglio desideriamo: la pace, la convivenza, il rispetto per le diversità che fanno crescere, e ciò che non abbiamo: una costruzione solida di questa convivenza, una casa comune dove nessuno si senta escluso. 

Difficile? Utopico? Forse, ma tra tutte le utopie politiche che l’uomo ha creato negli ultimi due secoli questa è l’unica ancora valida e attuale e per la quale vale la pena impegnarsi.

Roberto Caielli

  • Minima&moralia, “E pluribus unum” – Javier Carcas

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